Un centinaio di euro in più ad abitazione. Per far crescere di 1,38 miliardi all’anno il gettito della tassazione sulla casa occorre aumentare del 15% (attualmente l’aggiornamento è del 5 per cento) le rendite catastali in tutta Italia. Sempre al netto delle abitazioni principali, che (almeno per ora) restano esentasse.
Uno dei progetti di incremento del gettito punta proprio sul mattone, e nel modo più “facile”, attraverso una nuova rivalutazione delle rendite catastali: senza scervellarsi per rivedere categorie e classi inadeguate o desuete, o per riformare il catasto, ma semplicemente spalmando un aumento percentuale uguale per tutti. Incremento che comunque si limiterebbe a scalfire lo scarto enorme tra valori catastali (la base imponibile per l’Ici e le altre imposte indirette) e valori di mercato, attualmente attestato sulla media di uno a tre.
Si tratterebbe, quindi, di replicare il blitz del 2007, quando l’allora governo Prodi aveva innalzato del 5% tutte le rendite catastali, trascinando così in automatico un cospicuo aumento del gettito fiscale immobiliare ma introducendo contestualmente la prima maxi-esenzione Ici sull’abitazione principale). Per operare l’aumento, però, il calcolo va fatto sulla base della rendita catastale al netto dell’aumento del 5% attualmente in vigore. Prendiamo ad esempio una villetta alla periferia di Pesaro, con una rendita catastale aggiornata di 797,15 euro: se l’aggiornamento viene portato al 15%, questa percentuale dovrà essere calcolata sulla rendita “originaria” di 759,19 euro, facendola salire a 873,07 euro. L’incremento tra il primo e il secondo aggiornamento, quindi, in soldoni sarebbe del 9,4 per cento. Se invece l’aggiornamento fosse del 10 per cento, l’incremento percentuale rispetto ai valori attuali sarebbe del 4,76%, e se si arrivasse a un aggiornamento del 20 per cento, in modo da toccare il tetto dei due miliardi di gettito in più, si tratterebbe di un incremento del 14,3% delle tasse attualmente pagate.
Le imposte coinvolte
Il discorso, del resto, non si ferma all’Ici. L’incremento di gettito che si spera di ottenere verrebbe anche dall’Irpef (sempre escludendo le abitazioni principali), dalle imposte di registro, ipotecarie, catastali e di bollo sulle compravendite e dall’imposta di successione. Una buona fetta di questo extragettito, quindi, finirebbe nelle casse dei Comuni, perché oltre all’Ici il Dlgs 23/2011 sul fisco municipale ha devoluto ai sindaci il 30% delle imposte sul mattone. Iva e le imposte sulle persone giuridiche subiscono invece un’influenza minima dall’aumento delle rendite catastali, dato che le basi imponibili, di regola, sono il valore di acquisto e quello di libro.
Il risultato complessivo di un’operazione del genere è nella tabella in alto: da 691 milioni a 2,7 miliardi, ipotizzando come possibili opzioni aumenti in un range dal 10% al 25% di aggiornamento delle rendite catastali attuali. Uno strumento duttile, che non peserà in modo insopportabile sulle famiglie (si tratterà dell’ennesimo balzello tra i 100 e i 200 euro a immobile) ma che ha suscitato le reazioni decise di Confedilizia e dei piccoli proprietari: «Un attacco alle rendite – ha sottolineato il presidente della Confedilizia, Corrado Sforza Fogliani – imporrebbe un immediato ricorso alla Corte costituzionale. Le attuali rendite, basate sui valori, sono infatti state dichiarate legittime dalla Corte costituzionale solo provvisoriamente, perché non basate su redditi accertati, come vuole la legge». Anche l’Asppi (piccoli proprietari) è contraria: «Si annuncia ormai insistentemente un provvedimento di revisione generalizzata di rendite ed estimi catastali che sarebbe destinato ad aumentare in modo considerevole l’imponibile. E già si individuano le prime ripercussioni negative sui mercati» ha detto il presidente Alfredo Zagatti.
Articolo tratto da Il Sole 24 Ore del 2 ottobre 2011
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